Il trio: «Così combattiamo il bullismo e sogniamo di portare i nostri personaggi all’estero»

Sono morbidi, colorati, pieni di energia e del desiderio di distribuire affetto a chi incontrano: ecco i «Pelacchiotti allo sbaraglio»,  un trio di ragazzi pugliesi noti come Sabino Pappapicco, 18 anni, o «Uni» chiamato così per via del suo pigiama da unicorno; Giuseppe Gavigliano, 20 anni, o «Pedo» che indossa un costume da orsetto e «Ghetto» il draghetto Riccardo Mastandrea di anni 21 che da qualche settimana gira per le città vestiti con dei pigiami kigurumi (cioè dei “costumi da notte” giapponesi caratterizzati da forme animalesche) distribuendo hug teraphy, cioè abbracci e buon umore a chi li incontra per strada.

Per la hug teraphy, o terapia dell’abbraccio, dare a qualcuno la possibilità di stringere affettuosamente un’altra persona avrebbe il potere di contenere ansia, depressione e stress e di migliorare l’autostima insegnando l’importanza della condivisione e l’amore per noi stessi. «Ci vestiamo in questo modo per divertirci e perché ci piace l’idea di regalare un sorriso o un abbraccio a uno sconosciuto incontrato per strada che, magari, non ha avuto una buona giornata – scrive Pedo a Pugliaforfamily -. Dopo due anni di pandemia pensiamo che alle persone possa far bene anche un semplice abbraccio, anche per questo quello che facciamo è rivoluzionario».

Il terzetto ha anche una pagina Instagram creata da poco (@pelacchiotti_allo_sbaraglio) che vanta già 300 follower dove pubblicano le foto delle loro esibizioni per strada. Ma in cosa consiste una loro giornata tipo?  Il trio si confronta in una chat comune su WhatsApp sui rispettivi impegni di ognuno, individuato il momento della giornata utile per incontrarsi raggiungono la meta prescelta, si cambiano in qualche bar e iniziano a dimenarsi per strada, ballare ed esibirsi per i passanti a ritmo di musica. A chi li guarda incuriositi propongono di avvicinarsi, un abbraccio o di farsi una foto insieme.

I ragazzi affermano di venire fermati da qualsiasi genere di persona tra cui enumerano donne, adulti, bambini: «Ci ha colpito l’esperienza avuta con un professore – racconta Pedo – che ci ha abbracciato all’improvviso e ci ha narrato spontaneamente dei guai che stava attraversando. È una delle cose che ci piace di più di quello che facciamo, conoscere persone e le loro storie. Anche l’individuo più normale può nascondere un mondo insondabile dentro».

Non tutti però riescono ad accettare l’originalità del terzetto, raccontano infatti di aver subito provocazioni e offese specialmente dai cosiddetti «maranza» (i tamarri vestiti griffati) che evitano di avvicinarsi a loro e persino di toccarli: «Ci stiamo abituando a confrontarci con questi atteggiamenti – spiega Uni – soprattutto, stiamo imparando a relazionarci anche con chi non ci apprezza. Se qualcuno ci avvicina con una parola scortese ridiamo con loro e ci mettiamo al loro stesso livello, dopo questo la maggior parte si avvicina e si fa una foto con noi, altri invece se ne vanno infastiditi».

In cambio non chiedono nulla se non una eventuale offerta che possa permettere al loro progetto di crescere e al gruppo di autofinanziarsi acquistando vestiti o strumenti per intrattenere chi loro incontrano, questo è il sogno più grande dei tre ragazzi: poter crescere e migliorare se stessi tramite la loro iniziativa.

«Quando frequentavo le scuole superiori venivo bullizzato ed ero molto timido – racconta Pedo -. Andare per strada ad abbracciare gli estranei aiuta anche me a sentirmi più estroverso e più sicuro di me stesso. Il mio sogno, in futuro, è quello di fare l’animatore a tempo pieno insieme ai bambini» gli fa eco Uni che risponde: «Ho avuto alcune esperienze di lavoro in questo periodo e mi sono reso conto di quanto sfruttamento ci sia verso i più giovani. Il mio sogno è quello di viaggiare e portare il mio personaggio all’estero facendogli conoscere il mondo»; conclude il pensiero del trio Ghetto con queste parole: «Voglio che questo progetto cresca, mi piacerebbe che si unissero altre persone. Per me stesso sogno soltanto di poter continuare a fare quello che già faccio».

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