Per rispondere alle nuove esigenze-sociali, culturali-economiche, occorre che la Scuola imbocchi strade nuove

 Lucrezia Stellacci, presidente Uciim Puglia 

E’ innegabile che negli ultimi tempi la Scuola sia stata rimessa al centro dell’interesse comune per quello che fa e che dovrebbe fare ancora meglio per consentire al nostro Paese una rinascita. Ma è anche evidente che per rispondere alle nuove esigenze- sociali, culturali- economiche, che il dopo pandemia ci impongono, occorre che la Scuola imbocchi strade nuove. La scuola, rappresentando il primo esempio di ambiente sociale, svolge un ruolo determinante nei processi di socializzazione, in quanto si configura come l’ambiente ideale per avviare lo sviluppo dei ragazzi alla dimensione relazionale: sui banchi di scuola essi cominciano a conoscersi, a stringere relazioni, a collaborare con gli altri oltreché a pensare criticamente e vivere straordinarie opportunità di crescita intellettuale.

Pur riconoscendo l’importanza delle tecnologie per dare qualità all’offerta formativa, l’utilizzo assorbente delle stesse sta esponendo sempre più i nostri giovani ad un inaridimento delle consuete abilità sociali. Si aggiunge a ciò la crisi pandemica, tuttora in corso, che ha accentuato situazioni di disagio preesistenti, aumentando criticità relazionali, disuguaglianze sociali e rendendo i nostri ragazzi molto più vulnerabili. Conseguenza diretta di questo disagio che covava da tempo è l’aumento costante di bambini con disturbi del neurosviluppo e di adolescenti che preferiscono “ritirarsi dal mondo” non riuscendo a sostenere la fatica di essere se stessi, come diceva già qualche anno fa l’antropologo francese Devid Le Breton. Si tratta di un problema di portata generale, potremmo dire di sostenibilità della vita cui hanno concorso la sopraggiunta incapacità dei genitori ad educare i propri figli, e di tutte le altre agenzie educative a individuare modelli in grado di sostituire il codice autoritario, fortemente in crisi.

Qualche timido tentativo per cambiare gli obsoleti modelli didattici, è stato pur fatto ma con esito di scarso rilievo, basti pensare alla leg.92/2019 che ha introdotto nei piani di studio di tutte le classi scolastiche di ogni grado, l’insegnamento trasversale dell’educazione civica. L’intento del legislatore era quello di sconfiggere l’assioma delle discipline intese come campi del sapere separati e fine a se stessi, introducendo un insegnamento che le attraversa tutte e che si sostanzia dei contributi che ciascun insegnante di classe è disposto a cedergli dal suo programma, con traguardi di competenze e obiettivi di apprendimento comuni all’interno del gruppo docente; un insegnamento che per il fatto di essere interdisciplinare non ha l’assillo dell’esaurimento del programma, non è curvato sui contenuti del sapere, ma sulle persone, sugli studenti a cui vuole spiegare il senso delle conoscenze, quanto esse possano aiutare ciascuno a conoscere se stesso, a comprendere gli altri, a saper vivere con gli altri rispettando le regole che delimitano le aree di azione di ciascuno, a saper dare risposta ai problemi ed alla complessità della società contemporanea, a saper gustare le bellezze dell’Universo che occorre tutelare, a sapersi guardare dai mille rischi e pericoli che i progressi scientifici e tecnologici si portano dietro. Insomma, un insegnamento che non ha come obiettivo primario il sapere ma il saper essere, che non pone attenzione esclusivamente a quello che il ragazzo sa, ma anche a quello che il ragazzo è, alle abilità che manifesta nel comportamento e che vanno valorizzate al pari delle conoscenze.

E per ottenere questi risultati , il gruppo dei docenti che anima questo insegnamento non può limitarsi ad utilizzare solo i saperi formali, ma deve includere anche quelli informali e non formali che ciascun ragazzo apprende dai mondi paralleli alla scuola e che magari frequenta con maggiore curiosità, per aiutarlo a porre ordine fra tutte le informazioni che lo bombardano, a selezionare le conoscenze ed a capire che le emozioni non solo giocano un ruolo fondamentale nella psiche umana, ma molto spesso sono il motore dell’azione e del cambiamento. L’educazione della persona nella sua globalità e nell’insieme dei suoi aspetti cognitivi, emotivi e relazionali è il traguardo ambizioso e impegnativo che la legge n.92 sull’introduzione dell’Educazione civica nei curricoli delle scuole di grado e tipologia aveva consegnato alla Scuola.

Ma evidentemente la valenza innovativa di questa riforma , che punta su di un rinnovamento della didattica e della organizzazione dei tempi e degli ambienti di apprendimento, oltre agli strumenti di verifica e di valutazione degli esiti,, non è stata compresa e, lentamente ha cominciato il suo declino, scomparendo dalle priorità nazionali del Piano di formazione dell’anno in corso. Adesso si parla di Rigenerazione Scuola: transizione ecologica e culturale, e mentre ci chiediamo in che modo aiutare le scuole sulle possibili procedure attuative, sopraggiungono e si sovrappongono altri progetti di legge che aumentano la confusione e che rischiano di deviare la vocazione naturale della Scuola: si vorrebbe introdurre nei programmi di studio l’educazione all’ambiente, dimenticando che essa è già presente come nucleo tematico dell’Educazione civica, ma c’è di più, si vorrebbero sperimentare nelle scuole di ogni grado, percorsi finalizzati allo sviluppo di “competenze non cognitive”, quali – pensiero critico, creatività, problem solving, autocontrollo, leadership, fiducia in se stessi, capacità di gestire le emozioni, tutti traguardi già contenuti nei profili finali delle Indicazioni nazionali dei rispettivi cicli e potenziati nei curricoli di educazione civica. La differenza è che finora la scuola ha cercato di perseguire questi risultati con i saperi, lasciando poi che le conoscenze apprese plasmassero la personalità del ragazzo, adesso invece deve guidare questi processi e determinarne i risultati, assicurandosi che quelle abilità vengano conseguite dagli studenti, tanto da farne oggetto di valutazione specifica.

Sembra verosimile la tesi espressa da Ernesto Galli della Loggia nel Corriere della sera del 28.1.22 che vede in questa proposta di legge il rischio di volersi servire della scuola per modellare le persone secondo specifici standard, al pari di una macchina, nell’indifferenza generale! Pertanto, in attesa che il buon senso torni a suggerire ai nostri parlamentari e ai vertici dei dicasteri competenti, compulsati dai progetti inseriti nel PNRR, riforme in grado di aiutare la scuola a riappropriarsi del suo ruolo di prima agenzia educativa, con funzione di cerniera fra famiglia e società, le scuole dovrebbero anticipare i tempi mettendo a frutto la propria autonomia e provarsi a rompere i tradizionali schemi didattici, rigorosamente disciplinari, con metodologie nuove, che coinvolgano i ragazzi in avventurosi percorsi di ricerca della propria identità quali persone dotate di discernimento e quali componenti di comunità da far sviluppare all’insegna dei valori del riconoscimento reciproco e della solidarietà.

La Regione Puglia, nella persona dell’assessore Leo, si è dichiarato disponibile a mettere a disposizione delle scuole risorse finanziarie per percorsi educativi nuovi che aiutino i giovani a risollevarsi dallo stato di apatia dilagante e a riprendersi il ruolo di protagonisti del proprio tempo. Perché non prenderlo in parola, e mettersi al lavoro, con una o più reti – scuola, famiglia, territorio – ?

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