Federvita Puglia: «Combattiamo contro i pregiudizi. Anche da noi c’è una culla e diamo assistenza ed aiuto»
«Accogliamo la vita, senza pregiudizi, senza giudicare, ma ogni giorno combattiamo contro un grave vulnus: una famiglia fragile, una comunità sempre più indifferente», a dirlo è Denise D’Amato responsabile di Federvita Puglia, la sua affermazione non è retorica, è supportata da fatti, da storie di persone e non è una negazione della legge 194 (che regola l’accesso all’aborto, ma anche al parto anonimo). Anzi è il segno della sua vera applicazione.
«Rispetto alla storia di Enea, il piccolo lasciato in una culla, su cui c’è tanto scalpore io vorrei dire solo tre cose: la prima che non è certo frutto solo di sua madre, ma non capisco perché non si parli del padre, la seconda che il gesto di quella donna è un bellissimo gesto d’amore, la terza è che, quando si decide di fare questa scelta, non sempre si tratta di problemi economici». Federvita che è la rete regionale del Movimento Per la Vita Italiana in Puglia include ventidue Centri di Aiuti Alla Vita (Cav) e Movimenti Per la Vita, due Case di accoglienza, un gruppo Giovani, una culla per la vita. I Centri di Aiuto alla Vita (CAV) sostengono, accompagnano e aiutano la madre a portare a termine la gravidanza, ascoltando i suoi dubbi, i suoi timori e le sue preoccupazioni e offrono aiuti concreti: accompagnamento psicologico, sostegno medico, aiuti materiali.
Un lavoro enorme che aiuta tante donne e i loro bimbi. A Monopoli c’è la culla per la vita, è nata nel 2017, dopo che in spiaggia fu trovata morta una neonata poi battezzata Chiara Luna, in quella stessa struttura qualche anno dopo, l’allarme di quella culla suonò per Emanuele, un bellissimo e paffuto maschietto che oggi ha la sua famiglia adottiva. Questo a dimostrare che quando le strutture ci sono funzionano, ma in Italia le difficoltà sono ancora tante, soprattutto i pregiudizi.
«Racconto due storie per far comprendere che non sempre la difficoltà è solo economica, ma anche relazionale, emotiva, culturale. A Noha, qualche anno fa, abbiamo ospitato due donne, più o meno coetanee, sui 25 anni, una africana che portava in grembo un bimbo del suo compagno con il quale aveva avuto dissapori e una altra italiana, proveniente da famiglia benestante, che aveva deciso di non tenere il figlio del suo fidanzato con cui aveva una relazione stabile da anni, perché ancora, a loro dire, era il tempo del matrimonio. – continua D’Amato – La donna straniera temeva ripercussioni nella sua famiglia di origine, che ha un credo musulmano. La ragazza italiana invece pur avendo dei genitori e ancora una relazione stabile, si trovava rifiutata dalla sua famiglia di origine che aveva detto, come accadeva cento anni fa, che la figlia era fuori, tenendo nascosta al paese e ai familiari quella gravidanza. Queste due donne condividevano la stessa stanza. Hanno vissuto mesi insieme. Si sono confrontate e anche volute bene. La ragazza africana appena nata la sua bimba, pur certa che voleva lasciarla per l’affido, decise di allattarla, da quel momento è diventata madre. Ha affrontato la sua famiglia di origine in Africa. E’ tornata in Italia e oggi ha altri figli col suo compagno con il quale si è riappacificata. L’altro bimbo invece è andato in adozione subito. La giovane italiana, pur provenendo da famiglia benestante, non ha mai avuto contatti con lui, né sua madre, né suo padre. Noi non giudichiamo. Anzi, entrambi quelle donne hanno fatto una bellissima scelta: hanno dato la vita a due bimbi. Ma come vedete il problema più grande non era solo di origine economica, ma culturale. Viviamo in una società ancora piena di pregiudizi nei riguardi delle donne, lo ha dimostrato la stessa storia di Enea, a cui pare che il mondo si rivolga solo a sua madre, a cui pare che l’unica difficoltà sia quella economica. La madre di quel bimbo invece è stata forte e determinata, non ha abbandonato, ha affidato».
Per chi ha voglia di saperne di più c’è un numero verde 800.813.000 e chat web www.sosvita.it.