Una coppia di Bari racconta la sua esperienza. “Non è una passeggiata, ma una maratona”
Dopo l’appello del Papa alle adozioni e la sua richiesta esplicita alle istituzioni perché le favoriscano, ecco la testimonianza di una coppia barese che ha adottato un bambino russo quando il piccolo aveva sei anni e viveva in un orfanotrofio.
Se pensate che, una volta tornati a casa, tutto finisca nel migliore dei modi, proprio come nelle favole, vi sbagliate. Perché l’esperienza dell’adozione è come una maratona. Il percorso è lungo, duro, faticoso, da molti sottovalutato. Soprattutto – ricordatevi – che potete contare solo sulle vostre energie (fisiche, mentali, economiche). Gli altri si limiteranno a dirvi: “Come siete stati bravi”, “Che gesto d’amore straordinario”, “Avete avuto coraggio”. E la rete di sostegno istituzionale – noi l’abbiamo percepita in maniera molto sfumata – ha tempi biblici per attivarsi, con cronoprogrammi che non si conciliano assolutamente con le vostre necessità. La burocrazia toglie tempo prezioso alla vita del bambino, che inconsapevole di essere destinato ad una famiglia, soggiorna a lungo nell’indifferenza degli istituti.
Alcuni esempi per capire meglio. Il figlio arrivato da lontano porta con sé una storia difficile, un bagaglio di esperienze che condizionano comportamenti, modi di pensare, gesti quotidiani e lingua diversa dalla nostra. Bambini che non sanno cosa significhi condividere, in quanto negli orfanotrofi o nelle case famiglia hanno dovuto sopravvivere, nascondendo gli oggetti a cui si affezionavano dai soprusi dei più grandi; bambini che non hanno mai ricevuto una carezza; bambini che hanno dovuto sempre e solo badare a sé stessi senza poter contare su un punto di riferimento affettivo; bambini che mentono per difendersi anche quando hanno voltato pagina; bambini vittime di violenze. Un vissuto a volte così complesso da mettere a dura prova la stabilità familiare della coppia, la voglia da parte vostra di costruire un rapporto d’amore. C’è bisogno, insomma, di un sostegno piscologico mirato, per affrontare ostacoli mai visti prima di allora. Se ti rivolgi alla struttura pubblica, possono passare mesi prima di un incontro. E a seguirti, la maggior parte delle volte, sarà uno specializzando. Stesso discorso per la scuola, dove è indispensabile qualcuno che affianchi tuo figlio, almeno fino al completamento del ciclo di studi.
L’ideale sarebbe mettere in moto meccanismi virtuali automatici: il sostegno lo attivo comunque, se poi non serve lo tolgo; invece capita il contrario, lo devi chiedere, sperando che arrivi. Il risultato finale è sempre uno solo: se hai i soldi, ti rivolgi alle strutture private, pronte a dare risposte in tempi accettabili, sperando di superare più celermente, conflittualità e difficoltà. Attenzione, perché nei corsi preparatori all’adozione questi argomenti vengono affrontati. Ma solo marginalmente. Sarebbe necessario chiarire meglio, spazzando via facili illusioni o equivoci. Insistendo, magari su alcuni aspetti anche con durezza. Tutto ruota intorno ad un concetto: al primo posto non c’è la soddisfazione del desiderio di genitorialità, ma la possibilità di dare un’occasione per cambiare vita al nuovo figlio. Un ragionamento logico, ma nella realtà i genitori vanno sostenuti tanto quanto l’adottato. Difficile però da accettare e da comprendere fino in fondo. I corsi, allora, andrebbero calibrati meglio. Puntando, più sulle esperienze, sulle testimonianze di chi ha disputato la maratona dell’adozione, che su come si prepara una gara del genere.
La teoria va bene fino ad un certo punto. Poi deve lasciare spazio alla pratica, ai casi concreti, alle coppie che raccontano le difficoltà incontrate, alle istituzioni che raccontano esattamente quali siano i punti di riferimento in caso di difficoltà. Un genitore adottivo a chi si deve rivolgere se ha un problema? Indirizzi, nomi, numeri di telefono, contatti, sportelli. Magari da associare a volti, a persone. Se possibile da conoscere durante il percorso. Perché non pensare ad una specie di numero verde al quale rivolgersi? Perché non pensare ad una struttura che contatti i genitori con una certa periodicità per informarsi sullo stato dell’arte? L’esperienza dell’adozione ha un inizio, ma non una fine. Ti accompagnerà sempre. Non è facile sentirsi dire, dopo tutte le peripezie affrontate: “Tanto, tu non sei mia madre…”. Eppure, prima o poi, capiterà a tutti. Certo, alcuni problemi sono comuni a tutti i figli, a prescindere dall’adozione. Noi abbiamo due maschi, il secondo è adottivo. Possiamo quindi anche paragonare le due esperienze diverse.
La seconda è comunque molto più impegnativa. Si scontra quotidianamente con una parete rocciosa difficile da scalare, con tensioni più o meno evidenti, che mettono in discussione quotidianamente la fiducia sulla quale si deve basare il rapporto tra genitore e figlio. Si lotta contro l’ eccessiva indipendenza, contro la mancanza di responsabilità, contro l’impressione di non essere accettati come “nuovi” genitori nonostante ti chiami “papà” e “mamma”. Non scriviamo queste righe per scoraggiare, ma perché chi decide di intraprendere il cammino, deve essere preparato ad affrontare i momenti difficili, a volte più numerosi delle soddisfazioni.
Forse le parole che riassumono meglio la nostra avventura sono: coraggio, determinazione e incoscienza. Infine due parole sui costi dell’adozione internazionale. Ci sono cifre ufficiali, cioè stabilite da accordi tra Stati, alla portata di tutti. A queste somme, però, vanno aggiunti i servizi sul posto, spesso indispensabili, quantificabili solo in loco, in grado di far lievitare una o due volte le cifre ufficiali. Ci spieghiamo meglio. Quando arrivate nell’aeroporto Tal dei tali, in un paese straniero dove pochi parlano l’inglese e dovete raggiungere l’orfanotrofio distante 250 chilometri per incontrare il bambino, avete bisogno di un’auto con autista. Il quale deve essere completamente spesato da voi, con vitto e alloggio. Poi, se volete comunicare con il bambino, almeno le prime volte, vi servirà un interprete sempre a carico della coppia. Quando dovete richiedere il passaporto per il minore, difficilmente sarete in grado di compilare i moduli, di rispondere alle richieste di documenti che vi verranno formulate.
Morale: avete bisogno della persona giusta che riesca a districarsi nei meandri della burocrazia. Noi ad adozione completata, abbiamo speso più o meno 40mila euro. Una parte di questi soldi vi ritornerà attraverso i rimborsi e le spese deducibili sulla dichiarazione dei redditi. Intanto, però, dovete anticiparli. L’ultima domanda è: ne vale la pena? La risposta è inevitabilmente personale. Quella definitiva può arrivare solo dopo molti anni. Conosciamo coppie che si sono separate perché non sono riuscite a trovare un equilibrio con l’arrivo del nuovo figlio; coppie che sono partite per adottare un bambino e una volta lì sono tornate con tre bambini. Se vi dicono: “Ci sono anche il fratellino e la sorellina, cosa volete fare?”, non sarete capaci di scegliere uno solo e di lasciare gli altri; famiglie che hanno riportato il figlio in un istituto; ma anche genitori felici, soddisfatti, realizzati, contenti. Il nostro suggerimento è accorciare i tempi di soggiorno negli orfanotrofi, per arrivare prima tra le braccia di mamma e papà. L’importante è avere la consapevolezza che non sarà mai una passeggiata, ma una maratona.
Nani e Vittoria