Appello-testimonianza di una mamma: “Abbiamo bisogno di sostanza”

Il 2 aprile è la Giornata Mondiale della Consapevolezza dell’Autismo (WAAD, World Autism Awareness Day): per sensibilizzare al tema, nelle grandi città è consuetudine illuminare di blu i monumenti e i palazzi delle istituzioni. Su questa ricorrenza e su questa forma di promozione, ecco la testimonianza di una mamma che vive in Puglia e accudisce una figlia nello spettro autistico: il suo appello illumina le coscienze ben più di quelle luci blu.

Spegnete le luci blu sui monumenti, accendetele dentro le case, nelle scuole, nei luoghi pubblici. L’autismo non contagia. Non ha bisogno di forma, ma di sostanza. Non ha bisogno di pietismo, ma di conoscenza. Chi, come me, lo vive ogni giorno sa che ha mille sfumature, incredibili colori che, a volte somigliano alla follia, altre volte all’intelligenza più spiccata. È come se il cervello facesse giri strani per arrivare ad obiettivi semplici per un neurotipico.

Io sono A. e sono madre fiera di M., una bimba di 9 anni, nello spettro autistico. Che poi spettro è una parola che può significare tutto e niente. Già perché vuol dire che magari quel bimbo avrà una memoria spiccata o forse no, una intelligenza fuori dal comune o forse no, avrà movimenti impacciati o forse sarà un atleta, può camminare sulle punte e sfarfalleggiare, avere ossessioni o anche no. È nello spettro, che può essere infinito.

Quando ho avuto la diagnosi tra le mani ho pensato: se lo avessi saputo prima avrei abortito. Lo pensiamo tutte. Invece oltre il dolore c’è una vita nuova per i genitori, una vita fatta di rinunce, di traguardi diversi da come li immaginavi, ma anche di gioie, di conquiste incredibili. Di occhi che non è vero che sono sfuggenti, come dicono sui libri, sono occhi che cercano stabilità, àncore. Sono occhi che possono guidare ed essere guidati. Per questo non è sui monumenti che bisogna accendere le luci blu, ma dentro le scuole che hanno bisogno di insegnanti che sappiano che cosa è l’autismo, più di quanto possa insegnare un corso di specializzazione che, in teoria, secondo lo Stato dovrebbe fornire saperi sull’infinito mondo della disabilità (impresa impossibile).

Quella luce blu va accesa nei luoghi pubblici, perché basterebbe una scritta in Comunicazione Alternativa e Aumentativa davanti ai bar, ai ristoranti, per includere. Siamo stanchi dei palloncini blu che volano in cielo e tutti ad applaudire. In Puglia ci sono tanti progetti ed idee e anche fondi. Ma è ancora lunghissima la lista di attesa per avere un intervento terapeutico dall’Asl. Sono stati istituiti i Cat (centro per l’autismo territoriale) ma, pur avendo professionisti di alto spessore in organico, non vanno veloci. Si affannano.

Perché, pur dopo le assunzioni di personale specializzato, ci sono turni impossibili (quasi tutti di mattina) per dei bimbi che, per avere una ora di logopedia, devono magari rinunciare alla scuola. Serve organizzazione. Non c’è. Le luci blu dovete accenderle negli studi di pediatria, perché avere una diagnosi precoce significa lavorare prima e meglio. E il pediatra deve supportare i genitori, non terrorizzarli. E per farlo deve sapere. Approfondire. Capire i segni precoci. Le luci blu dovete accenderle in una comunità che sappia accogliere e non aver paura. Chi dice che l’autismo è una malattia rara, non sa nulla. Ad oggi viene diagnosticato un bambino su 80. Altro che rarità è una vera epidemia e ogni nuova nascita appartiene alla comunità. Il 2 aprile io non vorrei nessuna luce blu. Ma iniziative reali, cose che servono.

Chi vive con un autistico impara l’importanza delle cose concrete. Non si perde più nell’astratto. Rifugge dai convenevoli, dai falsi abbracci. Il 2 aprile e poi tutti gli altri giorni dell’anno parlate dell’autismo nelle scuole, nelle case, nei Comuni, ma non solo con i medici, ma con loro, con chi lo vive ogni giorno. Imparate a conoscere i nostri figli. Aprite le vostre case. Invitateli per una merenda. Non abbiate paura, sono umani, in tutta la loro bellezza. Splendidamente veri.

A., mamma di M.

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