La giovane: «Per fare il mio lavoro bisogna mettersi in gioco, sempre. Io nell’altro emisfero del mondo sono andata per insegnare e invece ho imparato»
Non ha esitato, ha preso una valigia ed è partita per il Madagascar. Non per turismo, ma per insegnare ed imparare. Lei è Caterina Viscanti, educatrice professionale, 25 anni, vive in Puglia e qualche mese fa, dalla nostra regione, è stata l’unica a partire con l’associazione Onlus di don Mazzi, Educatori Senza Frontiere. La meta era Ambalakilonga, un paese sperduto del Madagascar, dove c’è una scuola che accoglie ragazzini soli o comunque a rischio. Con loro, per un paio di mesi, insieme ad una decina di altri ragazzi provenienti da tutta Italia, ha insegnato ed imparato. Una esperienza unica, noi diremmo una buona prassi, perché l’educatore oltre ai saperi deve avere un cuore grande. E questi ragazzi italiani si sono messi in gioco, senza frontiere, come dice don Mazzi, senza paura. Hanno visto la povertà, la fame, ma anche la serenità di chi è a contatto stretto con la natura, quasi in un solo respiro.
Caterina scrive a Puglia for Family per invogliare chi può a mettersi in gioco e ci racconta le sue sensazioni: «Ambalakilonga è ad un emisfero di distanza, è un luogo differente, ma una magia pervade questo luogo, forse per l’odore forte delle buganville, o forse semplicemente qui c’è la magia di chi ha lasciato le proprie impronta: come gli educatori, i volontari, e i ragazzi che ti chiamano “mpanabe”», scrive Caterina Viscanti e a chi chiede che cosa ha visto e che cosa ha dato risponde: «Eravamo in una terra straniera per donare strumenti sconosciuti ai loro occhi; eravamo in una terra straniera per mostrare che durante una partita di basket, facendo gioco di squadra, si raggiungevano risultati migliori anziché essere tutti l’uno contro l’altro».
«La nostra presenza ha iniziato ad avere senso con il tempo che ci siamo dedicati l’un l’altro. La capacità di essere felici si rivedeva in ogni attività – continua la ragazza-. Non è mai stato così semplice nel luogo dove sono nata e scresciuta. Qui è differente, come se non avessi bisogno di nient’altro per sentirmi parte di qualcosa. L’arte circense è stato il primo linguaggio comune, e ci ha permesso di conoscerci ed entrare al contatto. Il teatro ci fatto prendere confidenza con il nostro corpo. Il gioco ha fatto sì che superassimo la semplice attività di volontariato. Il ballo e il canto ci hanno fatto sentire parte della loro cultura. Apparentemente si potrebbe pensare che quei ragazzi non avessero nulla da offrirci, eppure quei loro occhi sognanti e sorrisi dolci hanno potuto conquistarci. Ci hanno permesso di comprendere che se non li avessimo conosciuti la nostra vita sarebbe stata diversa: in alcun luogo se non qui, due lingue e due culture diverse, che si incontrano e si scontrano, ci dimostrano che l’umanità è unica. In questa casa, per comprendersi, non resta che guardarsi, sorridere e ballare».